Ci sono tre modi per affrontare le proteste del mondo agricolo.
Con la demagogia di chi (Lega, FdI) cerca di salire propagandisticamente sui trattori.
Con la miopia di chi, come la Commissione Europea, ha precipitosamente messo in discussione interi pezzi di legislazione ambientale per placare l’agitazione.
Oppure con serietà: cioè con la disponibilità a comprendere le ragioni (che sono tante) degli agricoltori cercando al contempo soluzioni che non indeboliscano una transizione ecologica sempre più necessaria. E urgente. E che, sì, deve anche passare da una conversione a modelli di agricoltura più sostenibili.
Chi coltiva la terra ha tante e buone ragioni di protestare. Gli ultimi anni hanno sempre più messo in crisi il settore, strangolando aziende, imprenditori e lavoratori che spesso non riescono a vedere riconosciuto il giusto valore al loro duro impegno. E questo è vero soprattutto per le piccole e piccolissime realtà agricole, in molti casi a conduzione familiare: impossibilitate a reggere l’urto di fattori globali come la concorrenza sleale, la crisi dei prezzi, l’aumento dei costi di produzione. E ovviamente lo strapotere della grande distribuzione.
Pensate a questo: solo per l’agricoltura italiana l’Europa stanzia 35 miliardi di euro. Ma l’80% dei sussidi va al 20% delle aziende agricole, le più grandi. I piccoli vanno in crisi, i grandi crescono: e crescono le pratiche di agricoltura industriale, quella più inquinante e meno sostenibile.
Ecco perché nei giorni scorsi a Strasburgo ho votato a favore della proposta di regolamento relativo alle piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche: tecniche che sono in grado di rendere le piante resistenti agli organismi nocivi e alle malattie o agli effetti dei cambiamenti climatici, facendo in modo che meno pesticidi chimici siano necessari.
Un tema non facile, e su cui si è molto discusso. Ma lo cito come esempio del pragmatismo lungimirante che dobbiamo cercare tutti di avere: mettendo in campo soluzioni che permettano agli agricoltori di partecipare alla – ripeto, necessaria – transizione ecologica. Riuscendo nel frattempo a far sì che il frutto del proprio lavoro abbia valore.
Appunto: dalla politica servono impegno e soluzioni, non demagogia e propaganda.