In cinque giorni di rivolte in Francia, dopo l’uccisione da parte della polizia di un diciasettenne delle banlieu, sono stati arrestati 3.300 dimostranti. Più di mille, un terzo, non hanno nemmeno diciottenni. L’incendio rischia di propagarsi altrove: sono scoppiati disordini in Svizzera e a Bruxelles, dove sto andando proprio ora, con il fermo di 135 persone tra venerdì e sabato: e, anche qui, tanti minorenni.
Come scrive oggi POLITICO, quello che vediamo è il frutto avvelenato di una “spirale di sospetto, incomprensione, rifiuto e paura”: i giovani figli e nipoti di immigrati, anziché divenire parte della società francese, se ne sono sentiti esclusi.
Ed ecco perché, anche da noi, la strada che dobbiamo perseguire è quella di un’integrazione piena e matura, che consideri gli aspetti economici ma anche quelli sociali e culturali. I migranti non sono numeri e non sono “cause” per alimentare le opposte propagande, entrambe sbagliate. Sono persone in cerca di futuro, che scommettono la vita sull’integrazione: è ora che iniziamo a farlo anche noi.